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Tencone, ex-medico Juventus: “Legamenti? La statistica dice che…”
In un intervista l’ex medico della Juventus ha spiegato il suo punto di vista sull’aumento degli infortuni nel calcio moderno. Le sue parole.
Negli ultimi giorni, complice la sosta per le nazionali, si è acceso un dibattito sempre più forte riguardo agli infortuni che affliggono i calciatori, in particolare alle articolazioni delle ginocchia. Da Gleison Bremer a Duvan Zapata, passando per Marc-André ter Stegen e Dani Carvajal, i recenti stop fisici stanno diventando una costante preoccupante. Le urla di dolore dei giocatori che si vedono costretti a prendersi una lunga pausa dai campi si fanno sempre più frequenti, e la questione che in molti si pongono è: perché?
Il tema è caldo e spinoso, con diversi esperti che cercano di dare una risposta. In molti sostengono che “si giochi troppo”. Tuttavia, c’è anche chi, come il Professor Fabrizio Tencone, direttore del centro Isokinetic di Torino ed ex responsabile medico della Juventus, pensa che il problema risieda nel fatto che “si gioca troppo spesso”.
Si gioca troppo spesso
Fabrizio Tencone, intervistato da La Stampa, ha spiegato i motivi per cui il sistema attuale espone maggiormente i calciatori a infortuni, specialmente alle ginocchia, fornendo dati e spiegazioni che fanno riflettere. “Più si gioca e più ci si fa male, non è una considerazione emotiva ma è una constatazione scientifica legata all’esposizione al rischio. Quando si disputa una competizione ufficiale ci si espone maggiormente al rischio di farsi male, più alto di 4-5 volte rispetto a un allenamento”. La frequenza con cui si gioca, dunque, è un fattore determinante per l’aumento degli infortuni, che risultano molto più probabili durante le partite rispetto agli allenamenti.
Secondo Tencone, “l’ideale per un calciatore sarebbe giocare una partita ogni 5 o almeno 4 giorni, quando passano 2 o 3 giorni tra un match e l’altro il rischio di infortunarsi soprattutto a livello muscolare aumenta esponenzialmente”. I calciatori hanno bisogno di più tempo per recuperare tra una gara e l’altra, e il ritmo serrato delle competizioni moderne non lo consente.
Un altro aspetto cruciale che Tencone sottolinea è il valore del riposo per gli atleti: “Il riposo e il recupero della fatica rappresentano un momento importante per un atleta”. Senza un recupero adeguato, aumenta il rischio che i calciatori incorrano in infortuni, spesso gravi, che richiedono lunghi tempi di recupero.
Come mai le ginocchia?
Uno dei temi centrali riguarda gli infortuni ai legamenti, in particolare il legamento crociato anteriore, un problema che sta diventando sempre più comune. “Per quanto riguarda la rottura del legamento crociato anteriore, la statistica dice che ci si fa male soprattutto nella prima parte della gara, come successo a Bremer, e non nell’ultima, nonostante l’episodio di Zapata”, spiega Tencone. Questo dato è sorprendente, poiché si potrebbe pensare che gli infortuni avvengano principalmente nella fase finale di una partita, quando la fatica si fa sentire. “Si tratta di infortuni che capitano quando la componente fatica è meno importante”, aggiunge. Ancora più interessante è che “7-8 volte su 10 ci si rompe il crociato da soli”, senza un contatto fisico diretto.
Troppo lavoro sui muscoli?
Un’altra riflessione riguarda l’allenamento e il potenziamento muscolare. “Il dubbio è lecito, oggi si lavora di più sulla forza, quella neuro-muscolare però dovrebbe essere vantaggiosa e non ci sono evidenze scientifiche che parlino di una fragilità maggiore per il crociato anteriore”, afferma Tencone. Nonostante l’intensità dell’allenamento sia aumentata negli ultimi anni, il professore sottolinea che “prima il dogma era: per non farti male allenati di meno. Invece per non farti male devi allenarti di più. E migliorare i movimenti degli atleti anche studiando i video degli infortuni”.